Mina de idei Anina

Nel corso del progetto MinA de idei Anina, soprattutto nella sua parte iniziale, è stato naturale pensare di usare una tecnologia digitale, ormai diventata consuetudine espressiva e di lavoro. Molteplici sono i vantaggi dell'uso di questa tecnologia. Non ultimo quello di poter realizzare una notevole quantità di materiale per la conoscenza di un luogo tutto sommato ameno e di complicata comprensione.

L'evoluzione del progetto, però ci ha guidati alla consapevolezza che era necessario e fondamentale rendere testimoni della memoria che permea questa realtà, i volti delle persone. Questa fase necessitava di un brusco rallentamento del modo di porsi rispetto al progetto. Decisamente avevamo bisogno di rallentare e riflettere. Queste, però, sono le caratteristiche proprie della fotografia analogica. E, ancor di più, della fotografia analogica di grande formato, quella che si avventura nell'utilizzo di pellicole che vanno dal 10x12 (cm) al 20x25 (cm) e oltre.

Quindi, in maniera altrettanto naturale abbiamo deciso di mettere alla prova le nostre specificità. Io (Paolo Mazzo) fotografo nato nell'epoca dell'analogico e il mio compagno di avventura, Samuele Piccoli, raffinato costruttore di macchine di grande formato (Stenopeika).

Oltre alla gioia fisica che si prova quando si guarda l'immagine attraverso il vetro smerigliato, c'é anche la voglia di riscoprire “antiche” sensazioni, come la disciplina nello scatto, l’esposizione deve essere corretta, la composizione pure. La fotografia “argentica”come la definiscono i francesi, poi, ci insegna anche a saper aspettare. Aspettare prima di rivedere le proprie foto è, sotto alcuni punti di vista, una cosa “sana”. Ci aiuta infatti a superare il bisogno della “gratificazione” istantanea. Non ultimo beneficio, la pellicola ci insegna ad usare la luce, si è costretti a ragionare in funzione della luce e ad essere dei fotografi più attenti e creativi. Inoltre impariamo ad accettare che a volte non ci sono le condizioni per realizzare una buona immagine. Quindi bisogna saper andarsene.

La sfida che abbiamo deciso di accettare (con noi stessi) è stata quella di scattare con una macchina Stenopeika 20x25 a lastre, utilizzando della pellicola bianco e nero. Una volta superate le naturali difficoltà della ripresa, la scelta che abbiamo operato è stata quella di calarci nelle vesti di performers. Sviluppare le pellicole in un piccolo bagno della struttura che ci ospitava e poi stamparle a contatto in un'altra stanza della stessa struttura, è stato un momento di grande emozione, concentrazione e determinazione. Pensare dove eravamo, in quale situazione abbiamo operato, usando tutte le conoscenze ed esperienze della nostra vita professionale (decisiva è stata l'esperienza di Samuele alla stampa), è stato motivo di grande orgoglio e soddisfazione.

La vera catarsi di questa performance è venuta, però, la sera della restituzione della nostra fatica a quanti avevano assecondato la nostra, a volte, incomprensibile visionarietà. La vera gioia e soddisfazione è stata staccare le foto dal muro e “restituirle” alle persone che con grande coraggio avevano accettato di farsi ritrarre. In questo gesto di grande semplicità stava la piena consapevolezza circa le possibilità e il ruolo della fotografia nel nostro mondo, il suo valore estetico ma anche civile per riaffermare un attaccamento alla vita e all'identità dei luoghi che abitiamo.

Paolo Mazzo